Pochi giorni prima del debutto londinese, Stefania Masala - ultima partner di Giorgio Albertazzi sulla scena - si racconta a Teatro.it, riscoprendo con fierezza le proprie origini sarde.
L’atmosfera intima e le luci soffuse del Toulouse-Lautrec Jazz Club, a Londra, fanno da cornice ideale per il debutto europeo (il prossimo 3 novembre) di Viaggio in Sardegna, il recital scritto e interpretato da Stefania Masala, con la regia di Patrick Rossi Gastaldi.
La nostra intervista, rilasciata durante un viaggio in treno verso Roma, diventa subito un tuffo nei ricordi per l’attrice e musicologa di origini sarde, che dal 2000 al 2016, è stata l’ultima partner femminile ad affiancare sulla scena il Maestro Giorgio Albertazzi.
Stefania, questo “Viaggio in Sardegna” che ti stai apprestando a compiere, ti porterà a Londra. Come nasce questo progetto e soprattutto perché la scelta di rappresentarlo proprio a Londra?
Un mio ex-compagno di studi, Cristiano Porqueddu, musicista e compositore che suona abitualmente alla Carnegie Hall, ha vinto un bando europeo con l’associazione “Musicare” di Nuoro e ha chiesto a un gruppo di artisti sardi (e non solo) di scrivere delle opere originali che ritraggono le atmosfere e i colori dell’isola, nell'idea di esportare la Sardegna nel mondo. Ci sono stati, dunque, anche interpreti e compositori internazionali che si sono ispirati alla Sardegna. Ne cito uno su tutti, il grande chitarrista cubano Leo Brouwer.
Tra le proposte che io gli avevo fatto c’era proprio “Viaggio in Sardegna” e quando Cristiano mi ha detto che proprio quella era stata la sua scelta, io ho dovuto mettermi a studiare, perché si trattava di materiale su cui ero poco preparata e ho scoperto tantissime cose dell’isola che neanche io conoscevo.
Ti sei affidata ad alcune suggestioni lungo il percorso di costruzione di questo testo?
Sì, sono andata a pescare nella produzione letteraria, per esempio, di Monsieur Valery, D.H. Lawrence, Elio Vittorini, Gabriele D’Annunzio e altri ed è nato questo itinerario sia nelle letteratura di questi grandi autori, sia nei miei legami con la Sardegna: ho ritrovato tante cose riguardanti le mie origini, i miei affetti e il mio carattere, perdendomi tra le pagine di questi autori”.
Infatti, nella presentazione del progetto tu affermi: “Ho abbandonato la Sardegna. Sono scappata per non restarne prigioniera. Lei però non ha abbandonato me”. Puoi spiegare meglio queste sensazioni?
Io sono letteralmente scappata dalla Sardegna, perché sentivo di stare in un ambiente che, in qualche modo, mi soffocava, mi andava stretto. Poi, trovandomi fuori, ho cominciato a sentirmi profondamente sarda. E la Sardegna non mi molla. Ti faccio un esempio spicciolo: io parlo un italiano impeccabile, ma se mi arrabbio, mi scappa il dialetto sardo e non riesco a controllarlo!
La regia di questo recital è di Patrick Rossi Gastaldi: come vi siete confrontati durante le prove?
Con Patrick abbiamo fatto altri spettacoli insieme, quindi c’è già un rapporto di confidenza. Quando lui ha letto il testo la prima volta, ne è rimasto molto colpito e quindi è stato naturale chiedergli di guidarmi. Non mi aspettavo che riuscisse a ribaltare tutte le mie malinconie, tirando fuori da questo testo un sacco di cose di cui io non mi ero accorta, grazie alla sua straordinaria ironia.
Dal 2000 al 2016 tu hai condiviso il palcoscenico on il Maestro Giorgio Albertazzi, che ti ha scelta come protagonista femminile per “Memorie di Adriano”, “Il mercante di Venezia” e “Lezioni americane”. Quale legame senti ancora di avere con lui?
Certamente quello di un’allieva che riconosce, tramite il distacco, tutto quello che effettivamente mi ha lasciato. Sono stati anni fondamentali per la mia crescita, non solo culturale, ma anche di donna. Io non mi rendevo conto, allora, di quanto mi stesse insegnando. E, invece, con la sua assenza, ho realizzato di avere appreso tantissimo. E io, che insegno in un’accademia di teatro a Roma, cerco a mia volta di trasmetterle ai miei allievi.
Al di fuori del palcoscenico, declamare versi era un’abitudine per te quando trascorrevi del tempo con Albertazzi?
Assolutamente sì! Anche perché lui aveva l’abitudine, se dovevamo viaggiare in macchina, di sottopormi a delle vere e proprie interrogazioni, quindi io passavo le sere a studiare nell’eventualità che il Maestro mi chiedesse alcuni versi il giorno dopo. Con lui era fondamentale farsi trovare preparati, altrimenti perdeva anche il gusto di giocare con chi aveva intorno.
“Viaggio in Sardegna” rispecchia in qualche modo il tempo pandemico che stiamo ancora vivendo, tra lockdown e riaperture?
Questo spettacolo vuole essere un segno di speranza, soprattutto per il tema dell’andare incontro a situazioni e persone che conosciamo poco. Il ritorno al confronto con l’altro è un tema caldissimo, perché tutto ciò che accade di brutto nella società è frutto di una chiusura nei confronti del prossimo.